A Montevecchio, nella chiesetta di Santa Barbara annessa al palazzo della Direzione. Uscendo dall’edificio ci dirigiamo a destra nella strada che porta al mare. Percorsi pochi metri troviamo, ormai in Comune di Arbus, il Museo Mineralogico e - dopo una salitella - la Foresteria. Quest’ultima era destinata agli ingegneri e ai dirigenti della miniera. Costruita nel 1930 insieme col fabbricato dove alloggiavano gli impiegati, si sviluppa su tre livelli. È costituita da ambienti spaziosi, loggiati d’ingresso ariosi e apparati decorativi tipici delle residenze urbane ottocentesche delle grandi città. Durante gli anni d’oro delle miniere, da cui invece si estraeva piombo e zinco, nell’ampia sala al piano terra si svolgevano le feste e le cerimonie più importanti della comunità di Montevecchio. Chiusa nel 1991 con la cessazione dell’attività mineraria, nel 2001 la Foresteria è passata in proprietà al Comune di Arbus. È utilizzata per convegni e manifestazioni culturali e attualmente ospita una splendida collezione di diorami (collezione Dellacà) riproducenti la vita mineraria in varie epoche. L’edificio del Museo Mineralogico, che raccoglie anche campioni provenienti da varie località italiane, sorge alla fine degli anni Quaranta per dotare di una sede adeguata il “Servizio geologico minerario” della “Montevecchio - Società italiana del piombo e dello zinco”. L’immobile è stato ristrutturato nel 2004 per renderlo disponibile ai visitatori, quindi anche a voi. Dal Museo torniamo nella strada per Guspini (da cui siamo arrivati) e dopo poche centinaia di metri dall’abitato di Montevecchio giriamo a destra al primo incrocio verso Arbus. Da qui proseguiamo per circa 7 km attraversando ciò che rimane del Villaggio Righi, un vecchio agglomerato di case dei minatori, fino al passo Genna ‘e Sciria e poi al centro abitato di Arbus. Entrando ad Arbus provenendo da Montevecchio ci immettiamo in una strada il cui nome stupisce un po’: via Montevecchio! La percorriamo tutta fino a via Repubblica. Qui troviamo la chiesa di San Sebastiano e il Montegranatico, entrambi sulla sinistra. La chiesa, i cui atti amministrativi risalgono alla fine del XVI secolo ma che sicuramente è molto più antica, appare molto modesta. Le sue linee non rientrano nei canoni di nessuno stile architettonico ed essendo stata costruita, accresciuta e restaurata in periodi diversi mostra motivi eterogenei. Dovete poi sapere che i Monti di Soccorso erano delle vere e proprie banche del grano (Monti granatici o frumentari) e del denaro (Monti nummari), cioè istituti che concedevano prestiti con l’obbligo della restituzione dopo il raccolto. L’obiettivo principale della loro istituzione era combattere la piaga dell’usura. Nacquero a favore degli agricoltori, soprattutto quelli più poveri, che così avevano assicurato il grano per la semina e il denaro per l’acquisto di animali e strumenti necessari al lavoro. La storia dei Monti nell’Isola termina nel 1953, quando - già trasformati nel 1924 in Casse comunali di credito agrario - furono assorbiti dal Banco di Sardegna. Nel 1989 il caseggiato del Montegranatico di Arbus è stato acquistato dal Comune, che ne ha curato la ristrutturazione restituendogli l’originaria bellezza. A pochi metri dal Montegranatico, in via Roma, all’altezza di piazza Mercato si trova il Museo del Coltello. Allestito in una vecchia casa del Settecento restaurata con cura, è diviso in quattro sale: nella prima si trovano i coltelli antichi, compresi alcuni del XVI secolo; nella seconda sono esposte le produzioni dei più rappresentativi coltellinai sardi contemporanei; nella terza ci sono i migliori prodotti della coltelleria arburese e vi si proiettano filmati dedicati alla fabbricazione del coltello in varie località della Sardegna. L’ultima sala è la vera e propria ricostruzione di un antico laboratorio del fabbro (su ferreri): vi sono esposte attrezzature del XIX secolo di particolare interesse oltre a due sculture e un murale. Dulcis in fundo, nel museo è possibile ammirare il coltello che nel 1986 è entrato nel Guinness dei Primati come il più grande del mondo (peso 80 kg, lunghezza 3,35 metri).
Arbus-Ingurtosu-Piscinas (circa 20 km)
Uscendo da Arbus verso Fluminimaggiore, sulla statale 126, dopo più o meno 8 km svoltiamo a destra al bivio Ingurtosu- Piscinas, in località Sa Perda Marcada. Dalla statale raggiungiamo il villaggio minerario di Pitzinurri, unico dell’area di Ingurtosu a carattere esclusivamente abitativo. Con il passaggio al Comune di Arbus l’area è stata valorizzata grazie alla creazione di percorsi naturalistici e al recupero degli edifici più importanti a fini turistici. Da qui si accede alla valle di Is Animas e ai suoi cantieri minerari. Superato il villaggio di Pitzinurri, dopo 6 km di tornanti entriamo nell’ottocentesco villaggio di Ingurtosu. Nel 1853 nasce la Società Mineralogica di Gennamari; in seguito la gestione passa all’ingegner Georg Bornemann, un esperto tecnico di origine tedesca, e nel decennio 1880-1890 Ingurtosu è una delle miniere più importanti dell’Isola con oltre 1.500 minatori. Poco dopo una parte della società è ceduta alla maggior società mineraria inglese, la Pertusola Limited, presieduta dal visconte Brassey. L’avvento della Pertusola rivoluziona la miniera: viene inaugurata la Laveria Brassey, realizzato il Pozzo Lambert, costruita una linea ferroviaria fino all’imbarco di Piscinas, vengono introdotte le perforatrici pneumatiche e realizzate delle teleferiche per i trasporti da Gennamari a Naracauli. Per aumentare i livelli produttivi è introdotto il sistema Bordeaux, un modo per consentire ai minatori di guadagnare di più aumentando la quantità di lavoro: in realtà la soglia del guadagno, molto alta, li costringe a un lavoro talmente pesante da portarli allo sfinimento in dieci o quindici anni. Tra le due guerre l’attività procede spedita e l’energia elettrica si diffonde anche nelle abitazioni dei minatori. Nel villaggio vengono costruite le scuole e migliorato l’ambulatorio medico, che assume le caratteristiche di un vero e proprio ospedale, l’unico della zona oltre a quello di Montevecchio. La miniera si ferma quasi completamente nel 1943, quando molti minatori sono licenziati e i più sfortunati partono per il fronte. Nel 1946 le cose migliorano anche se i giacimenti cominciano a impoverirsi; numerosi scioperi caratterizzano gli anni Cinquanta e in un clima arroventato la Pertusola prepara l’abbandono. Negli anni Sessanta la gestione passa al gruppo Monteponi- Montevecchio, che blocca l’attività mineraria in tutti i cantieri trasferendo il personale, finché sul villaggio non cala il silenzio delle macchine. La chiesa di Santa Barbara si erge su uno scenografico colle tra gli alberi e il verde della macchia mediterranea. Da lontano ricorda un paesaggio alpino. Accediamo al piazzale esterno salendo una scalinata di granito. Lungo un sentiero immerso nella vegetazione, dalla chiesa si snoda la Via Crucis fino a un complesso roccioso naturale su cui sono state erette le tre croci del Calvario e dal quale, provenienti da un laghetto a monte, scaturiscono le acque spumeggianti di una piccola cascata. La chiesa è un crocevia di percorsi possibili: se giriamo a sinistra nella strada sterrata incontriamo una serie di edifici fra cui, dopo un centinaio di metri, l’ex ospedale di Ingurtosu ultimato nel 1902. Fu indispensabile per i frequenti incidenti in miniera, per le malattie che colpivano i lavoratori e per compensare l’assenza di strutture sanitarie pubbliche. Se andiamo dritti arriviamo al borgo di Ingurtosu e alla spiaggia di Piscinas; se giriamo a destra la strada sterrata ci porta a Montevecchio attraverso i cantieri minerari di Ponente. Crepi l’avarizia, ve li proponiamo entrambi.
Ingurtosu - Montevecchio (11 km)
A) Se al primo incrocio dopo Santa Barbara andiamo a destra, arriviamo a Montevecchio passando per una strada sterrata poco agevole ma molto affascinante. Lungo il tragitto è possibile ammirare numerose strutture minerarie tra cui il Cantiere di Casargiu e il Cantiere di Telle con Pozzo Amsicora, uno straordinario esempio di architettura mineraria che si staglia grandioso nel verde della vallata. Il pozzo, a più di 225 metri sul livello del mare, fu realizzato nel 1915 e ristrutturato nel 1938. È stato l’ultimo a cessare l’attività il 17 maggio 1991, al termine di una lunga occupazione delle gallerie da parte dei minatori. Proseguendo troviamo la miniera Sanna, con il pozzo e la laveria, e la struttura di quello che fu l’Albergo operai Sartori. Dopo circa 2 km raggiungiamo Montevecchio in località Gennas.
B) Se dopo Santa Barbara andiamo dritti è d’obbligo passare sotto l’arco del maestoso edificio della Direzione, dominante la strada che porta al borgo minerario. Ai tempi gloriosi della miniera era conosciuto come “il castello”. Costruito intorno al 1870 secondo uno stile neogotico, è arricchito da particolari in granito e da un’elegante balconata di legno che sovrasta l’arco sotto il quale passa la strada. Poco distante si apre una piazzetta su cui si affacciano casupole basse, uffici, depositi di materiale, lo spaccio aziendale e la rivendita dei tabacchi. Proseguendo verso il mare (a 7 km), lungo la valle di Is Animas, è possibile ammirare numerosi resti dell’attività estrattiva: abitazioni, pozzi, laverie e materiali di scarto ormai sterili caratterizzano l’intero paesaggio con scenari surreali. Sulla destra troviamo l’imponente struttura del Pozzo Gal, il cui scavo ebbe inizio nel 1924. Con la cessazione del trasporto su rotaie, nel 1948, fu costruita la tramoggia che consentiva di caricare il materiale estratto direttamente su camion. La tramoggia è un apparecchio costituito da un recipiente dotato lateralmente di uno sportello, chiuso durante il trasporto e aperto quando si scarica il materiale. Nell’estate del 2006 il Comune di Arbus ha ultimato i lavori di restauro per non dimenticare l’importanza storica di questi luoghi e di chi vi ha lavorato. Proseguiamo fino raggiungere la massiccia Laveria Brassey a Naracauli. Costruita nel 1899 su iniziativa di Lord Brassey, proprietario delle miniere di Gennamari-Ingurtosu, cessò l’attività alla fine degli anni 60. Dalla laveria l’asfalto lascia il posto alla strada sterrata e prosegue nella boscosa valle del rio Naracauli. Non manca molto a raggiungere Piscinas le cui dune, tra le più grandi in Europa, sono state inserite dall’Unione Europea fra i Siti naturalistici di interesse comunitario (SIC, proprio così). Le dune si spingono verso l’interno per alcuni km raggiungendo quasi i 100 metri, altezza peraltro variabile poiché si tratta di “dune vive”, in movimento, che il maestrale modella giorno dopo giorno. A differenza di quelle desertiche, queste sono colonizzate da una particolare vegetazione che si è adattata al difficile ambiente: i ginepri plurisecolari, il lentischio, la ginestra, l’euforbia si alternano alle distese di tamerici e giunchi vicino ai corsi d’acqua e alle zone umide. In questo ambiente la fauna è rappresentata da pernici, conigli e gatti selvatici, volpi, gheppi e poiane; ma soprattutto qui nidifica la tartaruga marina Caretta caretta, che risale la battigia nelle notti di giugno e luglio per depositare le uova nella sabbia. Inoltre non è difficile, nel tardo pomeriggio, osservare qualche cervo che si muove in prossimità delle dune. Una volta sulla spiaggia, guardando il mare, sulla sinistra abbiamo l’hotel Le Dune, struttura un tempo adibita a deposito per i minerali che nei primi anni Ottanta un privato ha trasformato in albergo.
Piscinas - Costa Verde (Portu Maga, Gutturu ‘e Flumini, 11 km)
Dalla spiaggia di Piscinas torniamo indietro e giriamo dopo 200 metri a sinistra al primo bivio, fino ad attraversare il Rio Piscinas. Poi proseguiamo per una strada sterrata in salita che lascia spazio a quella asfaltata costeggiante il mare. Lungo la Costa Verde - così è chiamato il tratto che va da qui a Funtanazza - incontriamo anfratti rocciosi e pareti a picco, calette e spiagge bellissime poco affollate che è possibile raggiungere a piedi attraverso i sentieri che scendono verso il mare. Il primo complesso turistico che troviamo è il villaggio di Portu Maga di fronte all’omonima spiaggia e, poco più avanti, un centro servizi con ristorante, bar, market e un negozio di artigianato tradizionale. Proseguendo lungo la costiera incontriamo Gutturu ‘e Flumini, un villaggio di fronte alla spiaggia formato prevalentemente da case-vacanza con alcuni servizi.
Gutturu‘e Flumini - Funtanazza (2,5 km)
Da Gutturu ‘e Flumini dopo circa 2,5 km svoltiamo a sinistra, all’incrocio con la strada provinciale Montevecchio - Sant’Antonio di Santadi, e andiamo dritti per circa 3 km fino a Funtanazza. Circondata da una fitta pineta, questa bella località è dotata di un ampio parcheggio vicino alla spiaggia dominata dalla struttura della vecchia colonia marina, realizzata dalla società mineraria per i figli dei lavoratori di Montevecchio e Ingurtosu.
Funtanazza - Torre dei Corsari (10 km)
Da Funtanazza torniamo indietro nella strada da cui siamo arrivati e al primo incrocio giriamo a sinistra in direzione Torre dei Corsari. Procediamo per circa 10 km sulla litoranea fino a raggiungere il bivio, sempre per Torre dei Corsari: qui svoltiamo ancora a sinistra e in poche centinaia di metri siamo al villaggio. Proseguendo su questa strada (via della Torre) ci avviciniamo al mare in una delle località più suggestive della costa. Il posto prende il nome dalla torre di Flumentorgiu, nota appunto come Torre dei Corsari, costruita alla fine del 500 con compiti di avvistamento e difesa contro le incursioni barbaresche. Il villaggio turistico gode di una posizione incantevole poiché si affaccia, da un lato, su una sconfinata spiaggia dorata detta Sabbie d’oro, dove grandi dune di sabbia scendono fino al mare in uno scenario veramente unico e, dall’altro, su un sorprendente panorama roccioso. In questa bellissima costa, che fa venir voglia di chiamare l’Unesco per proporla come Patrimonio dell’Umanità, le fragranze inebrianti della vegetazione si fondono con il profumo del mare in un mix straordinario di odori e sensazioni. Superato l’abitato, scendendo incontriamo la Torre Spagnola su una spianata da cui si scorge un colpo d’occhio stupefacente. Dopo 300 metri arriviamo al parcheggio e accediamo allo “spiaggione”. Il villaggio che si vede in lontananza è Pistis, che si raggiunge da Sant’Antonio di Santadi.
Torre dei Corsari Sant’Antonio di Santadi - Pistis (9 km)
Infaticabili, da Torre dei Corsari torniamo indietro, al primo incrocio dopo l’abitato giriamo a sinistra e dopo 7 km entriamo a Sant’Antonio di Santadi. Questa frazione si trova a circa 35 chilometri da Arbus, vicino al mare, nei pressi del promontorio di Capo Frasca e della spiaggia di Pistis. È ricca di testimonianze del passato e di siti archeologici del periodo nuragico e romano. Dalla piazza principale ci buttiamo a sinistra per raggiungere l’agglomerato turistico e la spiaggia di Pistis.
Sant’Antonio di Santadi - Neapolis (14 Km)
Da Sant’Antonio di Santadi andiamo in direzione Guspini. Dopo 11 chilometri, poco prima di arrivare al bivio che porta dritti verso la statale 126 e a destra verso Guspini, troviamo una deviazione a sinistra (strada sterrata) che dopo circa 3 km ci conduce alle rovine della città di Neapolis, il cui nome di origine greca significa “città nuova”. Ormai in territorio di Guspini, la città di Neapolis si trova sulle rive dello stagno di Santa Maria di Neapolis nella parte meridionale del Golfo di Oristano. Fondata dai Cartaginesi alla fine del V secolo a.C., divenne un importante crocevia commerciale fino ai massimi splendori in epoca romana di cui rimangono tracce profonde: terme, cisterne, strade lastricate, l’acquedotto e numerosi altri resti. Una di queste tracce sono le Grandi Terme che, costruite tra il Secondo e Terzo secolo d.C., sono l’edificio meglio conservato del complesso riutilizzato in epoca medievale come chiesa dedicata a Santa Maria detta di Nabui o Neapolis. Il vicino porto, nella zona degli stagni di San Giovanni e di Santa Maria, facilitava i traffici commerciali e garantiva un approdo sicuro per i marinai esperti nella navigazione. Allo stesso tempo le acque della laguna erano un ottimo sistema difensivo per chi le conosceva perfettamente. Il centro fu abbandonato tra il Settimo e l’Ottavo secolo d.C. a causa del pericolo di vivere lungo le coste e dell’impossibilità di disporre di guarnigioni a protezione del centro abitato e delle popolazioni.