Le miniere di Montevecchio furono tra le più produttive d'Europa: le attività estrattive partirono dall'antichità, cessando definitivamente nel 1991.
La ricchezza mineraria della zona di Montevecchio doveva essere certo nota ai Romani: sono state infatti accertate attività estrattive di epoca romana attraverso resti di strumenti di lavoro, come lucerne e piccoli secchi per il trasporto dei minerali dai pozzetti scavati nella roccia. In particolare, testimonianze ottocentesche affermano il ritrovamento in situ di due pompe romane in piombo: entrambe avevano le bocchelle in bronzo, e una delle due addirittura meccanismi lignei all'interno. Pare che una delle due pompe sia stata trasportata e conservata a Parigi.
Le attività estrattive nella zona continuarono anche durante il Medioevo. Si hanno testimonianze di lavori minerari per tutta l'epoca moderna. Nel 1750 Carl Gustav Mandel, l'imprenditore svedese che fece costruire una fonderia a Villacidro, considerata tra i primissimi esempi di attività correttamente definibile industriale in Sardegna, fece scavare delle buche poco profonde in tutta la zona. Dopo la morte di quest'ultimo, le attività di scavo proseguirono sia durante la gestione statale del Belly, voluta direttamente dalle autorità sabaude, sia per mezzo di privati a cui furono assegnate piccole concessioni di scavo. Tuttavia, si trattò di attività che non avevano la consistenza produttiva delle attività industriali che si avviarono nella seconda metà dell'Ottocento.
L'origine di quella che poi sarebbe divenuta l'attività estrattiva delle miniere di Montevecchio risale all'intraprendenza di un prete sassarese fresco di seminario, Giovanni Antonio Pischedda. Il padre di questi era mercante, e giunto nei pressi di Arbus per lavoro, seppe casualmente da vecchi del posto dei lavori svolti tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento a Montevecchio e a Ingurtosu per l'estrazione del minerale. Il giovane prete, giunto anch'esso nel guspinese perché più attratto dalla cura dei commerci che da quella delle anime, iniziò intorno al 1842 ad effettuare i primi scavi alla ricerca del minerale. A Marsiglia, porto nel quale si era recato alla ricerca di soci per realizzare una società con cui poter fare domanda della concessione del territorio per la ricerca e la successiva estrazione del minerale, conobbe Giovanni Antonio Sanna, un altro sassarese emigrato di grande intraprendenza.
Questi, non senza difficoltà, riuscì a costituire una società, la Società per la Coltivazione della Miniera di Piombo Argentifero detta di Montevecchio, da cui ben presto il prete sassarese si allontanò, e alla quale il 28 aprile 1848 fu data la gestione delle tre concessioni chiamate semplicemente Montevecchio I, Montevecchio II e Montevecchio III. Queste erano tre appezzamenti di terreno di forma quadrata, di lato di due chilometri: quindi la Società aveva il controllo, nel 1848, di una fetta di territorio complessivamente larga due e lunga sei chilometri, estesa dalle pendici dei colli ad ovest di Guspini verso est, sino al territorio di Ingurtosu.
La Società Montevecchio inizialmente rivolse la propria attenzione a quelle parti di filone metallifero emergenti dal sottosuolo, in località Gennas Serapis e Casargiu. I lavori in quest'ultimo cantiere furono però ben presto abbandonati, e si proseguì esclusivamente con i cantieri più orientali, dove furono aperte gallerie a giorno. Nei pressi della Galleria Angosarda, una delle più orientali, fu realizzata, all'inizio degli Anni Cinquanta dell'Ottocento, la prima laveria stabile del compendio, detta laveria Rio. Questa, alimentata dalle acque del Torrente Rio e mossa da un motore a vapore, riceveva e lavorava il minerale estratto dalle vicine gallerie, come appunto l'Anglosarda. Nello stesso periodo furono realizzate le prime strutture stabili nel centro abitato di Gennas Serapis, nuclei abitativi ad uso dei dirigenti e dei principali rappresentanti della Società. Nel 1865 la miniera, con 1100 operai, era la più grande del Regno d'Italia.
Nel 1873 la Società delle Miniere di Montevecchio iniziò la costruzione della ferrovia Montevecchio Sciria-San Gavino Monreale per il trasporto del minerale; venne terminata nel 1878 sotto la direzione dell'ingegnere Alberto Castoldi (genero di Giovanni Antonio Sanna per aver sposato la figlia Zelí) ed entrò in servizio il 15 novembre dello stesso anno.
Alla laveria Rio ben presto seguì un'altra laveria, situata però nella parte occidentale del compendio, e chiamata laveria Sanna, in onore del fondatore della Società, poi ribattezzata laveria Eleonora d'Arborea, a causa di dissidi interni tra soci dell'azienda in materia di gestione, e una volta venuto a mancare, nel 1875, il Sanna, nuovamente dedicata alla sua figura. Questa laveria fu posta in una stretta valle formata dal rio Montevecchio; criticata sia per l'insalubrità del luogo, infestato dalla zanzara, sia per la scarsa accessibilità della valle, fu dotata di motori e di apparecchiature superiori a quelle realizzate nella laveria Rio.
Nel 1877 fu realizzata la terza laveria del compendio, la laveria Principe Tomaso. Il nome fu dato in onore all'omonimo principe di Casa Savoia, che in quell'anno visitò i cantieri e che inaugurò la nuova struttura: allo stesso fu offerto un ricco banchetto nella Galleria Anglosarda, la cui bocca era antistante il nuovo opificio. La Galleria, a causa delle concrezioni piombo argentifere della sua volta, probabilmente fu considerata il luogo più adatto per ospitare un membro della dinastia regnante. In questa prima fase la laveria Principe Tomaso consisteva semplicemente in quattro fabbricati tra loro affiancati, all'interno dei quali stava il potente motore a vapore e le apparecchiature gravimetriche. Il progetto di costruzione di una laveria in questa zona era stato già previsto da tempo: inizialmente si pensò di trasferire la laveria Rio, poi si optò per la realizzazione di una struttura nuova. La vecchia laveria Rio fu definitivamente abbandonata e in parte distrutta nel 1897, quando la Principe Tomaso subì ampliamenti strutturali e rinnovamenti nella dotazione meccanica.
Lo stesso anno fu iniziata la realizzazione della nuova laveria, posta nel cantiere Telle e chiamata laveria Lamarmora. Questa, più piccola delle altre due, serviva i cantieri più occidentali, nei quali nel frattempo si indagava.
Probabilmente qualche anno prima fu realizzato l'ospedale di Gennas Serapis, ritenuto dai visitatori del periodo uno dei più moderni mai realizzati in Sardegna. Tra questi, il primo di cui abbiamo testimonianza è Carlo Corbetta: costui ne parla già del 1877, nel suo volume Sardegna e Corsica. L'ospedale era diviso, al piano superiore, in quattro cameroni da nove posti letto ciascuno, sistemi per il ricambio dell'aria e un sistema di binari a scomparsa per muovere le brandine con i degenti, in maniera che quando uno di questi si aggravava o veniva a mancare poteva essere trasportato in un altro reparto senza disturbare gli altri pazienti.
Pochi anni dopo fu realizzato il Palazzo della Direzione. Nella stessa zona dove questo sorse, il Sanna aveva pensato di far costruire una grande chiesa, dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori: in realtà l'edificio così come progettato era troppo grande per le necessità del compendio, e dopo la sua morte fu realizzata al suo posto una palazzina di vaste dimensioni, comprendente gli uffici della direzione, l'appartamento del direttore e, annessa una grande cappella. Anche questa struttura, come la maggior parte di quelle più antiche presenti nella zona, col tempo subì numerose modifiche.
La morte di Giovanni Antonio Sanna, avvenuta nel 1875, diede inizio a liti tra i parenti per amministrare e dividere la società e la grossa eredità lasciata. Nonostante ciò la Montevecchio continuò a essere sviluppata dagli eredi, con l'acquisizione di altre piccole miniere e dei complessivi buoni risultati fino agli anni venti, cambiando nome in Miniere di Montevecchio.
Superata la prima guerra mondiale, la società entrò in crisi a seguito delle avversità dovute alla grande depressione del 1929. Nel 1933, la situazione divenne insostenibile, anche per i costi dovuti alla costruzione della Fonderia di San Gavino Monreale. Così, per i grossi debiti, venne fatta domanda di un concordato preventivo: furono offerti 43 milioni di lire, congiuntamente dalla Montecatini e dalla Monteponi. I compiti delle due società furono ben definiti e distinti: le miniere alla Montecatini, la metallurgia alla Monteponi. La nuova società venne chiamata Montevecchio società anonima mineraria.
Il massimo splendore della miniera si raggiunse a cavallo del secondo conflitto mondiale.
Nel 1939 la società assunse il nome di Montevecchio SIPZ, società italiana del piombo e dello zinco, nello stesso anno si ebbe la massima produzione di minerale.
L'arrivo della guerra vide un generale rallentamento delle attività, nonostante una visita di Benito Mussolini nel 1942. Contestualmente alla realizzazione del campo di volo a SaZeppara, alcuni operai delle officine della miniera furono impiegati nelle operazioni di manutenzione agli aerei. Dopo l'armistizio di Cassibile del 1943 l'estrazione rimase praticamente ferma e a causa delle condizioni in cui versava la nazione, le officine e i laboratori chimici si arrangiarono a fare qualsiasi cosa potesse essere utile (ad esempio la realizzazione di saponi).
Nel Dopoguerra le attività ripresero con vigore. Nel 1948 si celebrò anche il centenario della nascita della miniera. Furono sviluppate molte opere, sia nel settore propriamente estrattivo che nelle opere civili di complemento, come la diga intitolata a Guido Donegani. In questi anni si ebbero grandi produzioni, così la società arrivò a diventare la maggior produttrice italiana di piombo e zinco. Questo periodo durò fino agli anni sessanta. Nel 1962 la società venne incorporata dalla Monteponi per dar vita alla Monteponi e Montevecchio.